LE MONDE (sito web)
28 gennaio 2021
“Un nuovo calvario per le vittime dell’amianto”.
In un forum di Le Monde, l’Andeva protesta contro il ricorso in cassazione della Procura, che ostacola la possibilità di iniziare il processo contro i responsabili del più grande disastro sanitario che la Francia abbia mai conosciuto.
Le speranze delle vittime dell’amianto hanno avuto vita breve. Venerdì 22 gennaio 2021, abbiamo appreso che il giudice istruttore della Corte d’appello di Parigi ha annullato l’archiviazione emessa nell’estate del 2019 dai giudici del Tribunale per la salute pubblica di Parigi, riaprendo così la strada al processo penale sull’amianto che aspettano da un quarto di secolo. Tuttavia, poche ore dopo, in risposta a una domanda dell’Agence France Presse (AFP), la procura della corte d’appello, diretta da Catherine Champrenault, ha annunciato che farà ricorso all’Alta Corte, e che, nell’attesa che il tribunale si pronunci, chiederà anche il rinvio di tutti gli altri processi amianto (Valéo-Ferrodo, Eternit, DCN…) che devono essere sentiti dalla corte d’appello.
E’ un nuovo calvario per le vittime: significa uno o due anni in più da aggiungersi ai venticinque anni dopo le prime denunce, e mette seriamente in discussione la possibilità che i processi abbiano luogo. Mentre i fatti relativi al più grande disastro francese risalgono agli anni ’60 e ’80 del secolo scorso, il tempo è diventato il principale avversario del processo. A forza di aggiungere anni, si va verso l’estinzione dell’azione penale pubblica: i responsabili del disastro saranno deceduti o non più in grado di affrontare un processo.
Di conseguenza, la decisione del Pubblico Ministero di opporsi alla ripresa delle indagini come richiesto dalla sentenza della Corte d’Appello e, successivamente, il rinvio degli imputati a un tribunale penale, è ingiustificata e ingiustificabile per almeno le due ragioni :
- Per definizione la Procura è responsabile per la difesa degli interessi della comunità e la difesa della legge. Tradizionalmente è la Procura che richiede e avvia l’azione penale ma sfortunatamente non nel caso della difesa della salute come nel caso dell’amianto o i casi di clordecone (o Kepone), sangue contaminato, mucca pazza, ecc ….La Procura moltiplica le procedure dilatorie per ritardare o impedire il rinvio a giudizio dei responsabili di questi disastri: le prime denunce sono state presentate nel luglio 1996, le vittime e l’Associazione Nazionale per la Difesa delle Vittime dell’Amianto (Andeva) e le sue sedi regionali, hanno dovuto lottare costantemente perché l’inchiesta non si impantanasse, che la magistratura potesse condurre un’indagine centralizzata e specializzata. Ricordiamo le numerose recriminazioni del giudice Marie-Odile Bertella Geffroy contro l’insufficienza dei mezzi che le erano stati assegnati, e contro gli ostacoli posti dalla Procura.
- La seconda ragione è la motivazione della decisione dell’Istruzione della Corte d’appello di Parigi di mercoledì 20 gennaio sul caso Everite, l’azienda di cemento amianto di Seine-et-Marne che ha contaminato, avvelenato e ucciso un gran numero di lavoratori.
Come si dice nel linguaggio comune, la decisione è definitiva! Convalida in tutto e per tutto l’analisi che le vittime hanno gridato per tre lunghi anni ed è un’aspra sconfessione di quella sostenuta dal pubblico ministero e dall’unità di salute pubblica giudiziaria. Sul piano scientifico, i magistrati della Corte d’Appello confermano l’errata interpretazione del pubblico ministero e del polo giudiziario nell’interpretare un rapporto forense. Contrariamente a quanto hanno sostenuto, “il rapporto dei periti non dice che non c’è una data precisa di contaminazione, ma che nei modelli di rischio senza soglia, il periodo di esposizione, il periodo di contaminazione e il periodo di intossicazione coincidono. È il periodo di esposizione che deve essere considerato come il periodo di tempo durante il quale la persona è stata esposta all’agente tossico, contaminato e intossicato”, afferma la sentenza. Se c’è una cosa che sappiamo per certo e che per ogni vittima, è il periodo di esposizione che corrisponde alla data di entrata e alla data di uscita dallo stabilimento. È quindi sbagliato sostenere che non sarà possibile stabilire il nesso di causalità tra la commissione dell’atto criminale da parte dei funzionari dello stabilimento e il danno a ciascuna vittima.
Sul piano giuridico, la Corte d’appello ha poi respinto l’argomentazione secondo cui il numero di direttori aziendali che si sono succeduti alla guida dell’impresa durante il periodo di esposizione renderebbe impossibile determinare l’impatto sulla vittima degli atti che ognuno di loro ha compiuto durante il periodo di direzione e considerano che questo renda impossibile procedere contro ciascuno di loro. È giurisprudenza stabilisce che la responsabilità prevista dal codice penale può essere cumulativa, come hanno ricordato i magistrati della Corte d’appello nella loro sentenza del 20 gennaio.
Di fronte a questa evidenza scientifica e giuridica, confermata dalla Corte d’appello di Parigi, temiamo che il ricorso in cassazione sarà il colpo mortale al processo sulla più grande tragedia che la Francia abbia mai conosciuto nell’ambito della salute.
Da questo punto di vista e per evitare a tutti i costi la chiusura di emblematica tra i processi sulla salute pubblica, Andeva chiede che François Molins, pubblico ministero presso la Corte di Cassazione, esamini questo ricorso con assoluta urgenza per non perdere nessuna possibilità di portare in tribunali i responsabili di questo disastro entro un termine ragionevole. Facciamo questo passo in nome dei centomila morti di amianto. Non dimentichiamo che questo disastro era evitabile, almeno per quanto riguarda la sua portata e la sua durata. Sarebbe un insulto alla giustizia se i responsabili non dovessero mai risponderne.
François Desriaux, vicepresidente dell’Associazione nazionale per la difesa delle vittime dell’amianto;
Sylvie Topaloff, Jean-Paul Teissonnière e Michel Ledoux, avvocati delle vittime dell’amianto e delle loro associazioni.
JOURNAL DE L’ENVIRONNEMENT (sito web)
25 gennaio 2021
Amianto: la macchina giudiziaria è di nuovo in pista
La vicenda dell’amianto, che sembrava sul punto di essere insabbiata, ha avuto una svolta inaspettata mercoledì 20 gennaio nel caso Everite, una società con sede a Dammarie-les-Lys (Seine-et-Marne). La camera istruttoria della corte d’appello di Parigi ha respinto l’archiviazione del caso da parte del tribunale della salute pubblica nel 2019. La Procura ha immediatamente annunciato che avrebbe fatto ricorso alla Corte Suprema d’Appello. In un’ordinanza del giugno 2017, la procura di Parigi aveva ritenuto che, non potendo datare esattamente quando fosse iniziata la malattia abesto-correlata delle vittime, nessun dirigente poteva essere processato penalmente. Questo porterebbe all’eliminazione di tutti i casi e distruggerebbe le speranze dei molti che si sono fatti avanti dal 1996. Ci sono stati casi con non luogo a procedere, come quello del campus Jussieu e i cantieri Normed (settembre 2017), delle aziende Eternit e Ferodo-Valéo (luglio 2018).
Tuttavia, in una sentenza del 20 gennaio, la Corte d’appello di Parigi si è espressa nel modo opposto, nel caso Everite[i], che era stato chiuso con un non luogo a procedere nell’estate del 2019. I magistrati hanno considerato che un’intossicazione non poteva essere assimilata a “un evento unico”, ma a un “processo per accumulo”. Nella sua ordinanza del giugno 2017, la Procura si è basata su una perizia che aveva commissionato a tre esperti, ma come sostengono le associazioni dal giugno 2017, questa perizia, pur essendo chiaro sul “rischio senza soglia”, è stato male interpretato dalla Procura. Ciò che i magistrati della Corte d’appello sottolineano inoltre: “la perizia non dice che non esiste una data precisa ma che nei modelli di rischio senza soglia, il periodo di esposizione, il periodo di contaminazione e il periodo di intossicazione coincidono”, indica la decisione del 20 gennaio. Secondo la Corte d’Appello, e contrariamente a ciò che afferma il Pubblico Ministero, non vi è alcuna impossibilità di collegare i danni subiti dalle vittime con le responsabilità dei dirigenti delle imprese interessate. “Ogni dirigente ha partecipato, al proprio livello di responsabilità, all’esposizione dei dipendenti alle fibre d’amianto, in successione temporale”, spiega la sentenza. “Il fatto che più persone possano aver contribuito ad aver causato la morte o danneggiato l’integrità fisica delle vittime non osta la responsabilità penale; il riconoscimento di una responsabilità collettiva non è contraria ai principi fondamentali del diritto penale, poiché è l’indivisibilità degli atti in questione vuol dire concorso e convergenza ad un unico risultato, ed ogni persona accusata verrebbe incolpata solo per i propri atti”, hanno continuato i giudici.
Al di là di Everite, la sentenza dovrebbe applicarsi a tutti i casi pendenti e permettere ai ricorrenti di ottenere l’annullamento dei licenziamenti pronunciati fino ad oggi. Tuttavia, dopo la sentenza della Corte d’Appello, l’ufficio del pubblico ministero ha immediatamente annunciato che farà ricorso alla Corte Suprema, che dovrebbe estendere il termine da uno a due anni. È quindi improbabile che i casi, se ci saranno i processi lo siano prima di tre o quattro anni. “Mentre le prime denunce sono state presentate un quarto di secolo fa, questo nuovo ulteriore ritardo organizzato su basi giuridiche e scientifiche totalmente spurie si sta trasformando in uno scandalo giudiziario. Questa negazione della giustizia è insopportabile per le vittime e scandalosa per la patria dei diritti umani”, dice l’Associazione nazionale per la difesa delle vittime dell’amianto (Andeva).
L’associazione ha annunciato che si rivolgerà al primo presidente della Corte di Cassazione e al procuratore della Corte per una decisione in “assoluta urgenza”, e intende chiedere a Emmanuel Macron di sostenere questa richiesta.
i] Azienda specializzata nella fabbricazione di lamiere e tubi in cemento amianto.